Zone 30 e libertà

Un limite di 30 km/h in una qualsiasi città italiana

Esiste un innamoramento generale, a livello mondiale, per quelle che in Italia vengono definite «Zone 30». Queste zone comportano non solo una drastica riduzione della velocità massima in città, ma anche modifiche delle strade. Modifiche sicuramente costose da creare e soprattutto costose da rimuovere, una volta passata la sbornia miracolistica da cui sono nate.

Il punto non è però capire se la viabilità migliorerà o meno; probabilmente, come sempre succede, in alcuni punti migliorerà, in altri peggiorerà, ed altrove sarà inutile perché la velocità reale, in quelle vie, è già non di 30, ma di 15 km/h. Che ci siano delle sovvenzioni UE per crearle a prescindere? Chissà.

Il punto vero è filosofico: è giusto continuare ad imporre limiti? La risposta a questa domanda dipende dal concetto che abbiamo di vita e di libertà. Se abbiamo una visione della vita nei fatti materialistica, per ottenere un certo risultato non ho altri strumenti che l’imposizione di un obbligo. Se considero la società un insieme di individui che devono, dal mio punto di vista di amministratore, seguire assolutamente delle regole che in base alla mia ideologia sono giuste, lo strumento che ho a disposizione è l’imposizione, assieme a quello delle multe quale incentivo al loro rispetto. E ogni imposizione corrisponde a una diminuzione delle libertà individuali

Se invece abbiamo una visione spirituale della vita, siamo consapevoli del fatto che siamo stati creati liberi perché Dio è libertà. E ci ha creati con questa caratteristica perché lo scopo della vita, e cioè la crescita spirituale, può essere perseguita solo se siamo liberi.

Forse questo discorso parrà ad alcuni un po’ troppo filosofico e astratto. Ad alcuni, ma non a coloro che per motivi di età vengono da una società che con molti meno vincoli «funzionava» molto meglio.

Qual è la differenza tra allora e ora? Ci sono vari motivi, ma il principale è la decadenza della famiglia, con conseguente delega dell’educazione alla scuola. Ma la scuola può solo informare, non formare. Soprattutto la scuola atea di oggi, in cui è vietato parlare di valori interiori, di scopo della vita, di spiritualità.

Prendiamo l’ultima «grida»: le modifiche al Codice della strada, e in particolare le sanzioni per chi usa il cellulare durante la guida. C’è qualcuno che non è al corrente del fatto che non si deve usare il cellulare mentre si guida? No, ciò viene continuamente ripetuto in televisione, in radio, nelle scuole guida. Eppure si vedono ancora molte persone che telefonano mentre guidano.

Il problema ripeto non è l’informazione, ma la formazione al rispetto delle regole… regole che potrebbero anche non esistere, se ci fosse una vera formazione alla responsabilità e al rispetto. Trovatemi una scuola in cui non si spieghi che le droghe sono dannose. Eppure i giovani continuano a drogarsi. Un giornale o un tiggì in cui non si sia spiegato più e più volte che in monopattino non si deve andare in due (o tre); eppure… e così via.

Lo stesso per quanto riguarda le Zone 30. Chi ha un’età non più verde è consapevole delle minime, ma continue, limitazioni delle libertà attuate in questi ultimi decenni. O della sorveglianza telematica delle persone. Mesi fa un cartello luminoso alla Stazione Termini informava che vi erano ben 720 telecamere attive al suo interno. Settecentoventi! Che acquisiscono una mole di dati straordinaria. Un’altra piccola privazione delle libertà e della privacy imposta ufficialmente per «la sicurezza dei passeggeri».

Viste da questa prospettiva, le Zone 30 non sono quindi così innocue ed innocenti come appaiono; inquadrate sul piano dei continui minimi passi verso il controllo della società, controllo che, ripeto, progredisce da decenni, sono un piccolo tassello – trascurabile preso di per sé – del processo che porterà inevitabilmente al controllo totale della società da parte del potere. Allora sì che saremo totalmente al sicuro, senza automobilisti che passano con il rosso o che superano i limiti, senza ladri, senza omicidi. Ma saremo anche una società morta, persone che nascono per produrre e consumare e vivere una vita priva di significato.

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