De profundis per l’architettura

Casa «cubica» francese

Se si attraversa la Francia in treno, si è colpiti dal contrasto tra le abitazioni e le chiese dei vecchi villaggi e le nuove costruzioni che li circondano. Le prime sono formate da edifici di pietra grigia, con i classici tetti a spiovente, e formano un insieme armonico, pur non essendo frutto di un «piano regolatore»; sono diverse tra loro ma si armonizzano perché frutto di un’unica cultura che si esprime in modi diversi ma comunque riconducibili ad un’unica origine e ad un’unica visione delle cose; le nuove costruzioni invece sono invariabilmente di un bianco abbacinante, e ricordano, viste da lontano, delle scatole da scarpe con dei buchi rettangolari, che fungono da porte e da finestre.

Questa immagine mi è tornata alla mente alcuni giorni fa quando ho letto un articolo di un noto architetto, Roberto Ugo Nucci, dal titolo Cara architettura, dove vai? In quell’articolo Nucci usa la stessa espressione che ho usato io a proposito delle case francesi contemporanee: scatole con dei buchi.

Afferma l’autore:

Nel Rinascimento la formazione degli architetti avveniva con un attento studio critico dei capolavori del passato e nel diciottesimo secolo l’Accademia di Francia dettava le regole del buon costruire con una formale investitura culturale. Oggi lo studio dell’ “antichità”, come usava chiamarla Norman Shaw, è del tutto superficiale e inconcludente, un semplice richiamo al passato senza alcuna mediazione storica e culturale che avvalori una presenza di continuità con la tradizione

Questo è il punto focale, che viene poi approfondito nell’articolo che vi invito caldamente a leggere. Ora, il problema non è solo quello della bellezza in sé delle costruzioni. Il problema è quello della perdita della cultura del bello e soprattutto del senso del bello.

Il CAD, il Computer Aided Design, da aiuto per l’Architetto per evitare calcoli e procedure noiosi e ripetitivi, è diventato di fatto esso stesso il progettista. Quando passo accanto a dei nuovi edifici, mi pare di camminare in un progetto CAD tridimensionale. Vedo elementi dell’immobile come se fossero degli elementi CAD trascinati con il mouse sulla schermata. Aiuole, finestre, gli stessi alberi, sono standard, senza un guizzo di inventiva, senza alcuna variazione rispetto alla forma neutra offerta dal programma.

Tutto ciò avviene per due motivi fondamentali: il primo è come dicevo la perdita del senso del bello, della cultura del bello (punto su cui batte il testo dell’architetto Nucci), e dalla necessità ormai imperante oggi di fare in fretta, di raggiungere al più presto il risultato, di abbattere i costi, di ridurre le spese e aumentare i profitti. L’economicismo come fine, e non come componente da considerare nella valutazione del tutto, sta portando alla fine la nostra civiltà. Uccidendone la bellezza che l’ha generata.

Riusciremo ad uscire dallo squallore attuale? Sicuramente sì, ma non so in che modo. Forse. O forse sì. Voglio dire che l’architettura fino agli anni ’40 era frutto di uno studio appassionato e dedicato di quattromila anni di civiltà, gli ultimi due-tremila dei quali propulsi prima dalla civiltà romana e poi dalla civiltà cristiana. Ma mentre l’architettura cristiana ha saputo riprendere l’architettura pagana evolvendola ad un livello di superiore spiritualità, il dopoguerra – in tutto il mondo – è stato dominato dall’economicismo. Visione delle cose che ha sostituito la spiritualità cristiana.

È necessario quindi ritrovare la spiritualità che ha animato la nostra civiltà e che è in forte declino. La duttilità del cemento armato e la potenza dei computer non sono dei mali in sé; sono anzi potenti mezzi espressivi, che devono però essere sottomessi a, e guidati da, una visione del mondo valida. Se si usano per creare grattacieli a forma di banana, o palazzi fatti con lo stampino, vuol dire che abbiamo esaurito la fantasia e, come nel barocco più deteriore, puntiamo più sullo stupire che sul meravigliare.

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